La Festa Romana

16 Marzo 2016

Eccoci alla seconda tappa del viaggio che conduce al centro della Storia e nel cuore della Leggenda di CastelBrando. Oggi, caro lettore, parleremo ancora dei Romani, ma da una prospettiva inedita. Visiteremo lo sfarzoso Settecento, in occasione di una delle mirabolanti feste che animarono di leggerezza e libertà la vita dei nobili dell’epoca. Una festa a tema, in questo caso…

– Bene, per il viaggio mi sembra sia tutto sistemato. Ora, passiamo alla festa per il compleanno di mia figlia. –

Porgendo il tricorno al conte, il primo maggiordomo di corte cerca tra le espressioni del suo viso quella più rassicurante.

– Niente esotismi o esoterismi. Per il luogo, escludi la corte interna e il giardino, le notti cominciano a essere fredde. Evita assolutamente il salone principale. –

Sincronizzando il suo passo a quello del suo Signore, il primo maggiordomo segue il conte lungo le scale che dal suo appartamento lo portano alla carrozza. Il nobiluomo, senza guardarlo, continua la sua discesa e le sue raccomandazioni.

– Solo invitati scelti, niente teste calde veneziane, e mezza botte di vino, non di più. –

Poi il conte si ferma, voltandosi verso il maggiordomo solo per lanciargli un’occhiata che non ammette tentennamenti.

– Un’ultima cosa, al mio ritorno, vorrei ritrovare arazzi e statue intatte, se possibile. –

– Certo Signor Conte, penso a tutto io. Vi auguro buon viaggio. –

 

LA FESTA ROMANA

Una decina di carrozze, ognuna decorata con uno stemma differente, affollano le scuderie del castello già dal tramonto.

Due lunghe code di bracieri indicano agli invitati la via per la festa.

Un lungo corridoio conduce alla cantina del conte*, luogo prescelto dal primo maggiodomo per l’evento.

Il tema, come lasciano intuire le decorazioni lungo il percorso, è l’epoca romana, in armonia con l’antico forno che si trova proprio nella grande cantina.

La festa, come lasciano intuire le numerosi voci che si sovrappongono alla musica, è già avviata.

All’arrivo di ogni nuovo ospite, un cerimoniere all’entrata declama il suo nome in simil latino, facendolo precedere da un appellativo legato al costume indossato.

– Accogliete Minerva Lucia Zumellorum… Accogliete Senatoris Andreus Coneglianorum…* –

C’è chi si è presentato da imperatore, chi da gladiatore, chi da ancella e chi da divinità.

Gli invitati sono tutti giovani nobili provenienti da ville patrizie o castelli del territorio circostante, qualcuno è arrivato da Treviso, qualcuno da Padova, altri da Venezia. Nessuna testa calda.

Il primo maggiordomo dal punto più alto della cantina osserva i nuovi arrivati ambientarsi e salutare i presenti. Tutto procede senza intoppi, la servitù si muove veloce, gli ospiti sembrano divertirsi.

Un cameriere di corte travestito da Bacco serve l’ottimo vino del conte, e a chi gli fa notare che è annacquato, gli spiega che così usavano gli antichi romani.

I ragazzi, liberi dalle parrucche incipriate di tutti i giorni, portano in testa elmi o corone di alloro, e molti di loro giocano con il travestimento che hanno scelto. I senatori stanno in posa da senatori facendo svolazzare la toga, Cicerone dedica lodi filosofiche al piacere della convivialità, un impertinente Cupido provoca delle giovani dame lanciandogli baci.

Le ragazze, libere dalle invadenti gonne dell’epoca, sfoggiano vesti delicate, commissionate su misura per l’evento, e capigliature adornate di nastri preziosi, secondo la moda romana.

Quando finalmente giunge la festeggiata, solo la musica accompagna la sua entrata. Gli invitati restano infatti ammutoliti dalla bellezza della contessina e del suo costume.

La giovane impersonifica Venere, ai piedi porta sandali decorati con splendide conchiglie, una ricca veste di seta azzurra le cinge il corpo, e in una mano stringe la famosa mela rossa destinata alla più bella tra le dee.

Viene subito fatta accomodare su un triclinio sistemato a lato del forno romano e a turno i ragazzi, un po’ per gioco e un po’ per malizia, cominciano a farle la corte, dedicandole in perfetto latino elogi e versi d’amore.

– Gratias, honoris meus est* – risponde lei, che come tutti loro ha avuto un precettore severissimo, e il latino lo conosce bene.

Conosce bene anche la maggior parte degli invitati, con molti ha trascorso intere estati, ospite nelle dimore estive delle rispettive famiglie, altri li ha conosciuti in occasioni di matrimoni, feste o cerimonie.

Solo un ragazzo è sicura di non aver visto mai. Porta un lungo mantello da generale e l’elmo gli copre gran parte del volto, ma quegli occhi, quegli occhi di un azzurro così puro, è sicura di non averli proprio visti mai.

Per tutta la serata i loro sguardi non smettono di cercarsi, ora avvicinati ora allontanati dai balli e i canti che ravvivano la festa.

Quando la stanchezza comincia a dominare i primi invitati, i musicisti calano il ritmo e il volume e finalmente i due possono parlare. Sorridendo lui si presenta in ottimo latino dicendo il nome ma non la provenienza.

La contessina nota che ha un accento strano, ma in quel momento il suo cuore e la sua mente sono concentrati su quegli occhi, che da vicino, sono ancora più belli…

 

L’ALBA SUL CASTELLO

È l’alba. Il primo maggiordomo coordina la servitù nelle operazioni di pulizia. Alcuni ragazzi dormono sulle panche della cantina, lui premurosamente li cinge con delle coperte.

Poi esce nel giardino del castello, dove un gruppo di invitati si è radunato in attesa del nascere del sole, e per un secondo anche lui si rilassa.

Nota che la contessina è tra i presenti e sulle spalle ha un mantello da generale a proteggerla dal freddo del mattino. Il primo maggiordomo sorride pensando alla buona riuscita della festa e all’idea fortunata di estendere l’invito anche al figlio dell’Arciduca austriaco, in visita a Venezia.

Il conte sarà contento…

 

Tornando ai giorni nostri, la Leggenda continua!

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